Una mosca ha appoggiato le zampette sulle mie meningi per poi volare via e sparire nel buio nulla della mia stanza.
Diamo un nome alle Cose della Notte, che secondo Howard Phillips Lovecraft non hanno e non devono avere un nome.
lunedì 16 gennaio 2012
domenica 8 gennaio 2012
Anabasi
Ero
ancora nudo. Quella sembrava una copia dell'ingresso alla camera
occulta della signora Feregalli. Usando la mia razionalità, ne deducevo
che non era possibile. I dettagli del percorso in quel dedalo non
corrispondevano al mio primo tragitto, quello che mi aveva portato
all'incontro d'amore con la maliarda. Eppure ero combattuto: al contempo
qualcosa mi diceva che quella era proprio la stanza del piacere dove avevo adorato e penetrato quel bellissimo ano. Non mi
restava che provare ad aprire la porticina e a strisciare dentro,
sperando di poter recuperare i miei vestiti. Ricomparire nudo come un
verme nel bel mezzo dell'aristocratica famiglia Feregalli sarebbe stata
di certo una cosa molto imbarazzante. Non solo, tutto ciò avrebbe potuto
portarmi conseguenze non trascurabili. Non era escluso che la signora,
inchiodata alle sue responsabilità, si sarebbe rivoltata contro di me,
accusandomi di averla costretta ad atti sodomitici. Come ho forzato
l'entrata ne ho subito avuto conferma, al di là di ogni dubbio: quella
non era l'alcova dove avevo fatto sesso anale con la mia amante. Era una
stanza molto piccola. Le pareti erano in marmo bianco e vi entrava in
qualche modo la luce del sole. Cosa c'era dentro? Un grosso pastore
tedesco dal pelo bruno chiaro. Mai e poi mai avrei pensato di trovare un
cane relegato in quell'ambiente. Non sarebbe mai potuto entrare
dall'angusto ingresso. Come ce l'avranno portato in quell'anfratto? Mi
sono ritratto e ho richiuso la porticina. La porta successiva era alta e
stretta. Sembrava soltanto una decorazione della parete, un inganno, ma
premendo con pazienza sono riuscito ad aprirla. Sono sceso per una
scala ripida e non illuminata, trovandomi in un cinematografo. Un
macchinario cubico stava proiettando un film in bianco e nero su uno
schermo. Nonostante il film, alcuni faretti alogeni illuminavano la
sala. Con mia grande sorpresa, seduto su una delle sedie arancioni, ho
visto un ragazzo fulvo, mi sembrava di conoscerlo ma non mi veniva in
mente il suo nome. Che fosse anche lui un amante della signora
Feregalli? Mi sono avvicinato e il bellimbusto, per nulla turbato dalla mia nudità,
mi ha detto che il film che stavano proiettando era stato prodotto in
Turchia. Ha aggiunto che il titolo, Izimet, a parer suo
significava "dito in bocca". Solo a questo punto ho notato che in fondo
alla sala sedeva un uomo con la divisa delle SS. Col pretesto di andare
in bagno mi sono diretto all'uscita, ho salito le scale e sono tornato
nel corridoio. La stanza successiva era piena di specchi. Ricoprivano
tutte le pareti. Potevo guardarmi la schiena. Così mi sono accorto di
avere un tumore sul coccige, un grosso basalioma gonfio di pus, dall'aspetto davvero brutto. Ho tastato uno
specchio, riuscendo ad aprirlo. Oltre c'era un cortile olografico,
finto, con una passerella blu interrotta a mezz'aria. In basso vedevo
un'animazione con alcuni carabinieri che conducevano in un paio di
cellulari un gran numero di ladri. Sono tornato alla stanza degli
specchi e ho tentato ancora di trovare una via di uscita. Ce n'erano
due. Una dava sulla sala del cinema in cui ero stato prima. L'altra era
un ascensore in cui un noto comico, ubriaco fradicio, sghignazzava come
un pazzo facendo il saluto nazista. Il guitto si è presto accasciato,
vinto dai fumi dell'ebbrezza. Sono così riuscito a salire in superficie.
Eccomi in una desolata campagna della bassa padana, fredda e piena di
densissima nebbia. I raggi del sole erano incapaci di penetrare quella coltre. Ho capito di essere a molti chilometri di distanza
dalla dimora dei Feregalli, eppure qualcosa mi ha spinto a cercare un mezzo
per farvi ritorno.
Incontro con la signora Feregalli
L'ambiente sotterraneo era pieno di corridoi e di stanze segrete. L'effetto più comune era quello del trompe-l'oeil: c'erano porte e finestre finte, che riuscivo a distinguere soltanto avvicinandomi. La luce arrivava tramite pozzi che simulavano in alcuni recessi la luce del sole. Un incredibile labirinto, in cui era tutt'altro che difficile perdersi. Ancora non riuscivo a capire perché la signora Vittoria Feregalli mi avesse dato appuntamento in una cripta del suo castello di famiglia. Già, la sua famiglia, che angoscia! Il ricordo del pomeriggio passato in compagnia di quelle persone, che sembravano uscite da un racconto di Lovecraft, mi opprimeva tremendamente, rischiando di vanificare il piacere che avrei presto provato accedendo all'intimità della mia bella maliarda. Ma perché tutta questa commedia? Non sarebbe stato più semplice prenotare una camera in un motel? Forse si vergognava a farsi vedere con un ragazzo come me, che avrà avuto la metà dei suoi anni? Solo poche ore prima ero lì, in quella stanza nobiliare dall'alto soffitto. I figli della signora, orridi bambini dagli occhi neri come l'Abisso, che sembravano quasi occhi d'insetto, composti da ommatidi. Si muovevano in una grande culla, e ogni tanto la badante ne sollevava uno per controllare il pannolino, atteggiando il volto ruguso in una smorfia che voleva essere un sorriso. Come mi sono avvicinato, subito ho provato orrore: quei mocciosi avevano qualcosa di inumano, esalavano un odore sgradevole quanto sconosciuto, come se qualcosa in loro cominciasse a marcire già in vita. Poi mi sono seduto a tavola con la signora, le sue arcigne sorelle e il suo anziano marito, un individuo delirante quanto grottesco, che biascicava e mi riempiva il piatto. Quando lui si è addormentato, vinto dalla sonnolenza, lei è uscita lasciandomi lì a studiare la mappa mentale e criptica dei sotterranei in cui l'avrei raggiunta. Ormai mancava poco. Presto avrei raggiunto la signora Feregalli nell'alcova ctonia. Mi sono allontanato con un pretesto e ho trovato l'accesso a un incredibile mondo fatto di meandri. Il cuore mi batteva all'impazzata. Non è stato facile. Dopo aver camminato a lungo sono arrivato a destinazione. Girata una curva, mi sono trovato davanti a una bassa entrata ad arco che sembrava dare su un ripostiglio. Per entrare sono stato costretto a strisciare. Così ho fatto il mio ingresso in una vasta sala al cui centro c'era un piccolo letto, e su questo giaciglio c'era la signora. Indossava un abitino attillato nero e scintillante, calze a rete e portava scarpe coi tacchi a stiletto. Sono stato avvolto dal suo profumo inebriante. Continuando a strisciare, sono giunto fino a lei, le ho tolto le scarpe e ho cominciato a baciarle i piedi. Le ho tolto anche le calze, portandomi le dita alla bocca e a succhiandole, mentre le toccavo pieno di desiderio le gambe. La mia erezione era furiosa. Lei se ne è accorta e si è messa a stimolarla coi piedi, con tocchi leggeri sull'inguine. Mi sono spogliato. I suoi piedi, come fiori sensuali, titillavano la mia verga turgida che svettava, libera da ogni indumento. Anche lei si era denudata. Mi sono avvicinato alle sue natiche e le ho baciato ardentemente l'ano, leccandolo con infinita voluttà. Lei mugolava per il piacere, accrescendo la mia eccitazione. Ci siamo seduti entrambi sul letto, mentre con le mani la frugavo tra le gambe e le stimolavo il clitoride. Le ho preso una mano e l'ho portata sulla mia asta palpitante. Le sue dita non si sono strette su quella carne fremente. Quando le ho chiesto di prenderlo in bocca, lei si è rifiutata di farlo. Sorridendo mi ha detto che la bocca la usava solo per mangiare, ma che avrebbe voluto essere penetrata analmente. Si è sparsa sulle mani una gelatina e con quella mi ha sfregato il fallo, quindi si è seduta sull'erezione. Le ho spinto dentro il glande tumefatto, scivolando nell'intestino lentamente, a lungo, stantuffandola con una passione furiosa. Bruciavo, mentre palpavo ogni parte del suo corpo che riuscivo a raggiungere. Alla fine ho eiaculato lì dentro, in quel caldo budello, in mezzo alle feci. Proprio allora anche la mia druda ha raggiunto il culmine della delizia. Era come se l'utretra non volesse più smettere di schizzare il caldo liquido in quell'ambiente, dove gli spermatozoi trovavano la loro nemesi. Prima che il priapo cominciasse a inflaccidirsi, la signora si è allontanata da me e si è diretta a un bagno attiguo, dicendomi di tornare subito in superficie. Il problema è che a questo punto, ancora provato dall'intensissimo orgasmo, non ricordavo più la strada!
sabato 7 gennaio 2012
Miserie della biologia
Sono in un locale, arriva Logos, che è sbarbato e ingrassato, la pelle
gonfia, e parliamo. Dice cose inconsistenti, da una parte che il Connettivismo è in completa rovina, però poi si contraddice dicendo che
tutti ci cercano. Dobbiamo bere qualcosa, ma io sono preso da un impulso
incoercibile di orinare, così vado al piano di sopra del locale, che
sembra una villa con marmi screziati che emanano qualcosa del sepolcro.
Il mio ventre è gonfio di urina, entro in un bagno, ma la tazza del
cesso è piena zeppa di biancheria femminile sporca. Ci sono tappeti
arrotolati zeppi di polvere e di feci essiccate, nere. Dalla finestra
entra il sole, sembra una camera d'albergo, ma è pieno di mosche morte,
fa schifo. Non posso trattenermi, così estraggo il pene e orino
spruzzando sul tappeto pieno di feci nere e sul cesso zeppo di intimo
femminile sudicio. Liberarmi dalla piscia mi porta una grande pena, come
se avessi ancora molto da evacuare. Esco e cerco di scendere da basso,
ma mi accorgo di non avere più i pantaloni, che qualcuno deve avermi
sottratto. Entro in un altro cesso, che è tutto in marmo screziato
grigio e nero, sepolcrale. Mi siedo sulla tazza, quando mi accorgo che
c'è un vecchio con un grosso pene flaccido e un cranio abnormemente
grande, che sta vicino a uno specchio e mi fissa.
venerdì 6 gennaio 2012
Atmosfera di Rangoria
La ferrovia Seregno-Saronno con treno a gasolio, marrone, arrivo in
stazione e non c'è nessuno. Sembra la stazione di Carnate, c'è un treno
di andata un giorno e di ritorno il giorno successivo. Non ho il
telefono, non ci sono telefoni pubblici. Sono isolato, cerco di seguire i
binari, in preda all'angoscia più profonda.
mercoledì 4 gennaio 2012
Grottesche cronache di guerra
In
Arabia Saudita, una città bruciava. Era in corso una guerra. Le potenze
europee avevano espugnato tutte le città della penisola. Gli incendi
erano opera di attentatori che volevano espellere gli occupanti. Il
Fratello Mstatus era un colonnello con un'uniforme blu decorata di
bianco, che parlava con un ufficiale francese dall'uniforme marrone: i
due militari comunicavano in un incerto inglese. A un certo punto è
arrivato un soldato inglese ubriaco fradicio. La sua uniforme era color
sabbia, e portava un paio di spessi occhiali. Barcollando, si è
avvicinato a Mstatus chiedendogli in perfetto italiano: "Ma è vero che
le italiane fanno molto i pompini?"
Il sogno si è concluso con l'immagine di un pesce palla scuoiato vivo.
Il sogno si è concluso con l'immagine di un pesce palla scuoiato vivo.
martedì 3 gennaio 2012
Un febbrile collage di immagini distorte
Una statua nuragica di rame lucente. 1200 litri di vino e 1200 litri di
tuorlo d'uovo per una festa pagana. Un tipo che mi tocca con un bastone
da dietro i popliti, io che lo sovrasto e cito una per una le sue
malattie davanti a tutti.
domenica 14 agosto 2011
Glossario Korun LXXXIX
Nella lingua Korun, che le genti di questo pianeta chiamano Enochiana, BALIE significa SALE.
Traduce il latino sal, il greco hals, l'ebraico melakh e l'inglese salt.
Glossario Korun LXXXVIII
Nella lingua Korun, che le genti di questo pianeta chiamano Enochiana, AUDCAL significa ORO. Nel linguaggio degli occultisti significa anche MERCURIO ALCHEMICO.
Glossario Korun LXXXVII
Nella lingua Korun, che le genti di questo pianeta chiamano Enochiana, CORDZIZ significa UOMO, PERSONA, CREATURA RAGIONEVOLE.
Traduce il latino homo, il greco anthropos e l'ebraico adam.
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