Giovanni, mi sembra che sia una questione di lana caprina. Le solite
discussioni su cosa è fantascienza e cosa non è fantascienza, che
potrebbero andare avanti all'infinito. Io seguo semplicemente la realtà
dei fatti, quella che i miei sensi mi trasmettono. Un'opera come "La
possibilità di un'isola" di Houellebecq è fantascienza indipendentemente
da dove viene poi collocato il volume negli scaffali delle librerie.
Non trovo semplicemente possibile che venga definito "mainstream" un
autore come William S. Burroughs, che non esitava a parlare di sodomia e
di anilingus in contesti surreali usando tecniche narrative che non mi
sembrano proprio alla portata di un volgo incolto. Un'opera di Ballard
come "L'allegra compagnia del sogno" presenta alcuni brani che
sconvolgerebbero la maggior parte del pubblico (come quando descrive
fantasie aberranti nei confronti di una bambina affetta da trisomia 21).
Se scrivessimo noi cose simili, potremmo essere denunciati: non ci
sarebbe un'anima viva che ci etichetterebbe come "mainstream" per
pararci il culo. Dov'è il "vasto consenso" di queste opere? Non mi
sembra proprio che la cultura popolare sia innervata da stilemi
burroughsiani e ballardiani. Non mi risulta nemmeno che il linguaggio di
Philip K. Dick sia immune da esoterismo. L'autore in questione ha una
complessità filosofica notevole, anche se il grande pubblico al massimo
nota le descrizioni di improbabili gingilli tecnologici. Ho letto
diverse opere dickiane che non sono di fantascienza, come "Confessioni
di un artista di merda", a parer mio meritorie. Esse sono
tradizionalmente etichettate come "mainstream", ma diffido della
validità di tale definizione, visto che sono state pubblicate dopo la
sua morte e non hanno mai avuto successo. Per quanto riguarda l'uso
delle parole, la realtà è molto diversa da come la vedo descritta: ha
successo ed è "mainstream" solo chi riesce a farsi una posizione e ad
avere abbastanza soldi da far rimuovere la pornoetichetta "fantascienza"
dalle sue opere. I più fortunati al successo ci riescono in vita; gli
altri, se va bene, ci riescono dopo la morte. Dick, che coi suoi scritti
doveva arrivare a fine mese, riducendosi persino a mangiare cibo per
cani, se vivesse in questi tempi andrebbe ad ingrossare le fila degli
autori diseredati costretti a pagare le case editrici per farsi
pubblicare, solo per averne un mucchio di libri invenduti con due sole
alternative: ricomprarli a metà prezzo o mandarli al macero. Certo,
dimenticavo che adesso ci sono gli e-book, ma la bolla potrebbe
scoppiare presto.
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